L’antico Oratorio
Secondo una notizia riportata dal Milanti ma non confermata dagli studi più recenti, esisteva sulla sponda esterna delle Fosse Castellane, fin dal 1546, un piccolo Oratorio dedicato alla Vergine.
Questa piccola chiesetta, citata per la prima volta nei documenti in occasione della visita pastorale del Vescovo di Modena Fra’ Sisto Visdomini (1572), venne affidata nel secolo successivo alle cure della Confraternita del SS. Sacramento, che avviò i lavori di ampliamento dell’edificio nel 1617 con i fondi donati da Don Giovanni Mazzanti († 1621), e con l’autorizzazione del Vescovo Pellegrino Bertacchi (1610 – 1627).
Il lascito testamentario del Mazzanti (1618) prevedeva l’obbligo di erigere un Tempio dedicato alla Beata Vergine ed a San Giovanni Battista, su parte dell’area di sua proprietà, detta “il Giardino”, che il sacerdote aveva legato ai Canonici Laureati del Duomo di Modena.
Ma dopo la scomparsa del Mazzanti la Confraternita eseguì soltanto alcuni lavori di piccola entità, nonostante essa godesse di una notevole prosperità economica, dovuta ai sempre più numerosi lasciti degli affiliati.
L’Annunciazione di Bartolomeo Schedoni
Dall’inventario del 9 gennaio 1627 sappiamo che a quella data le suppellettili e gli arredi dell’Oratorio erano molto modesti e che l’unico dipinto esistente in Chiesa era un’immagine dell’Annunciata. Non è da escludere che quest’ultima citazione inventariale si riferisse alla celeberrima Annunciazione di Bartolomeo Schedoni (1578 – 1615), tuttora esposta sull’altar maggiore della Chiesa, costituendo così la prima notizia documentale su quest’opera, tradizionalmente attribuita al maestro modenese.
Nel 1637, la tela venne protetta da una cortina di seta, ed alcuni anni più tardi si provvide a dotarla di una cornice di legno intagliato finanziata con il danaro espressamente devoluto, a tal fine, da Pellegrina Schedoni nel testamento del 1652.
Concordemente giudicata dalla critica un’opera giovanile dello Schedoni, l’Annunciazione risente fortemente della formazione correggesca del maestro modenese e del rapporto con la cultura carraccesca contemporanea innestata sui modi dell’ ambiente tardo cinquecentesco locale.
Della varia e complessa opera del Correggio, Bartolomeo seppe cogliere non soltanto la morbidezza degli incarnati, ma anche la capacità di indagare il mondo degli affetti attraverso una sottile introspezione psicologica che, nell’ Annunciata di Formigine, troverà espressione nell’immagine compunta, consapevole e preveggente della Vergine, protagonista di un muto dialogo spirituale tra umano e divino.
La composizione, che pur rientra nella tradizione iconografica del tema, dona a questo dipinto un’inattesa originalità, trasformando l’incontro tra l’Angelo e la Madonna in un avvenimento attraversato da un’atmosfera satura di presenza trascendente, di densa spiritualità, in cui le dimensioni del reale vengono annullate dall’apparizione sovrannaturale e dalle nubi soffici che dilagano lungo la diagonale della tela creando la tridimensionalità di uno spazio metafisico: un medium addensato attraverso il quale passa il colloquio tra il divino e l’umano, ed ove la rappresentazione del celeste diviene metafora del sovrannaturale, e il suo luogo spaziale sconfina nell’illimitato, secondo la rimeditata lezione dell’Allegri.
L’Oratorio nel XVII secolo.
I lavori d’ampliamento dell’Oratorio, che nel 1633 non era stato ancora consacrato, iniziarono nel 1643 protraendosi per circa mezzo secolo fino all’anno 1673, ben ventidue anni dopo il definitivo trasferimento della Compagnia del SS. Sacramento dalla Parrocchiale all’Annunciata (1651).
Completate le opere strutturali cominciate dal Coro per poi procedere alla integrale riedificazione della Chiesa, si provvide al rivestimento degli interni, alla messa in opera del pavimento (1666) ed all’allestimento dell’Altar Maggiore provvisoriamente collocato in sacrestia, ove i Confratelli erano usi convenire per celebrar messa.
A quegli anni, ovvero intorno alla fine del quinto decennio, risale il Cristo coronato di spine, ispirato ai celebri modelli reniani ben presto divenuti famosi attraverso le numerosissime copie che ne furono tratte ed attraverso la divulgazione delle incisioni. Nel caso del quadro dell’Annunciata, però, non si tratta di una semplice copia ma di una singolare rielaborazione di due diverse invenzioni di Guido: qui l’impaginazione della figura, sovrapposta alla cortina scura del fondo appena aperto su un arido paesaggio collinare su cui si erge all’orizzonte un esile ed incerto alberello illuminato dalla luce serotina, e l’impasto bruciato dell’incarnato, reso nelle parti rilevate con lumeggiature tracciate a rapidi e brevi segni paralleli, inducono a riconoscervi i modi di Flaminio Torre (1620 – 1661), un pittore di spiccata personalità e per molti versi innovativo, ricordato dalle fonti (Malvasia) anche per la sua abilità di copista.
Purtroppo la dispersione di parte dell’archivio dell’Annunciata non permette di risalire alla provenienza di molti altri dipinti, tuttora conservati in Chiesa, tra cui un San Girolamo penitente del quale si conoscono altre due versioni, a Fiorano e nella Chiesa collegiata di Novellara, ed una Crocifissione, ripresa in controparte e con qualche variante, dall’originale carraccesco, datato da Annibale nel 1593 e tradotto in incisione da Cornelis Bloemaert agli inizi del XVIII° secolo.
Nel 1667, dopo la fondazione dell’altare di San Giovanni Battista per volontà di Ludovico Castaldi (1666), la chiesetta venne provvista di vetrate ed arredata di tribune. Tra il 1669 al 1672 venne completato il campanile, a sezione rettangolare, che sovrastava di poco l’altezza del coro, come ancor oggi è dato leggere in una rara fotografia del 1920.
Presumibilmente su quest’ ultimo altare dedicato al Battista, venne innalzata, nella seconda metà del XVII, secolo la grande tela della Vergine col Bambino ed i SS. Lorenzo e Giovanni Battista, ascrivibile alla bottega dei Gennari. Di provenienza ignota e di incerto soggetto sono anche i due quadri rettangolari recentemente assegnati a Giuseppe Romani (1654 ca.-1727), attivo a Formigine nel 1691 anche in Santa Maria del Ponte.
Nel 1685 venne affidata a Carlo Antonio Garbi la decorazione in stucco degli interni portata a termine dal plasticatore cinque anni prima che il maestro iniziasse l’ornamento dell’altare del Crocifisso.
La Chiesa dell’Annunciata nel XVIII secolo
Agli inizi del XVIII secolo, i Confratelli iniziarono a raccogliere i fondi necessari per edificare una nuova sacrestia ed ampliare il coro sull’area donata alla Chiesa dai Canonici Laureati (1720).
Risalgono a quegli anni le due graziose telette raffiguranti S. Lucia e S.Carlo Borromeo, e S.Anna che insegna a leggere alla Vergine con S.Luigi Gonzaga in adorazione, siglate in basso sulla destra dalle lettere GBG, iniziali del mediocre Giovan Battista Guzzaletti.
Grazie ai proventi derivanti dal lascito del canonico Nicolò Martelli (1742), nel 1776 furono intrapresi i lavori di restauro e di abbellimento della Cappella di San Giovanni Battista, affrescata con le immagini di San Geminiano e di Sant’ Agata, andati purtroppo distrutti nel 1927. Per questa cappella venne poi recuperato l’antico altare ligneo, listato in oro, dell’oratorio soppresso dei Gesuiti di Modena, fortunosamente ritrovato nella bottega modenese di un rigattiere mentre, per l’esecuzione delle pitture murali era stato incaricato Tommaso Girotti e per le decorazioni in stucco lo scultore Giovanni Borsari. Posta di fronte alla cappella S.Giovanni Battista, vi era quella del SS. Crocifisso sul cui altare si venerava un’ interessante scultura in stucco raffigurante il Cristo in croce. Adornata di affreschi nel 1776 l’Altare conservava le immagini, andate anch’esse perdute, dei Santi Liborio Vescovo e Liberata.
Le vicende trasformazioni
Tra il 1845 ed il ’46 la Confraternita procedette ai lavori di consolidamento e restauro dell’intero edificio che lanciava allarmanti segnali di crollo, nonostante il precedente intervento del 1839. Vennero, allora, raccolti i fondi per rinforzare le strutture portanti del Tempio e per il restauro delle decorazioni interne rovinate sia dalle infiltrazioni d’acqua che dalle sconnessioni murarie, imputabili al cedimento degli archi e dei pilastri. In quel torno di tempo non soltanto si sostituirono le due antiche campane con tre nuovi bronzi fusi a Bologna da Serafino Golfieri, ma si trovarono anche i fondi per ricompensare con circa 565 Lire il pittore Luigi Manzini (1805 – 1866), autore dei due quadri commissionatigli dalla Confraternita nel 1846 e posti ai lati del presbiterio in luogo delle pitture murali preesistenti. Le tele del pittore modenese, tuttora affrontate ai lati dell’aula, raffigurano S.Liborio e S. Geminiano che offre alla Vergine la Città di Modena ed Il Redentore con S.Agata e S. Liberata inginocchiata davanti a un neonato.
Purtroppo dopo secoli di amorevole cura dedicata a questo antico Oratorio, a fine Ottocento il Consiglio Comunale della Città si espresse a favore dell’arretramento dell’edificio di circa quattro metri, sacrificando un terzo della navata e l’antica facciata, affinché fosse allargata la strada, strozzata in quel punto tra il prospetto della Chiesa e le antiche mura castellane. Ai lavori di demolizione condotti dall’ingegner Luigi Cavani, tra il settembre ed il novembre del 1891, seguì l’innalzamento di una nuova facciata progettata, secondo il gusto dell’ epoca, in stile neogotico.
Qualche anno più tardi la Chiesetta venne fatta oggetto di una seconda mutilazione al fine di ampliare la strada in quel punto per facilitare il collegamento dei due rami della Via Giardini
Venne, infatti, avanzata la proposta di demolire completamente l’ edificio (1927) riprendendo un vecchio progetto urbanistico del 1914 poi abbandonato a causa dell’imminente entrata in guerra del Paese. Ma grazie alle rimostranze della Confraternita, fermamente decisa ad impedire un nuovo scempio, si abbandonò il progetto della demolizione e si decise di arretrare la facciata per la seconda volta sacrificando l’antico campanile ed un’altra campata della navata con le due cappelle laterali e le tribune, delle quali una ospitava l’antico organo. La riduzione della Chiesa comportò lo spostamento dell’antica ancona della cappella di San Giovanni Battista nel coro facendo risultare del tutto sproporzionato e sgradevole il rapporto tra il gigantesco altare ligneo e l’angusto catino absidale che l’accoglie.
Quest’ultimo venne decorato nel 1927 da Arcangelo Salvarani (1882 – 1953), allora titolare della cattedra di Decorazione Pittorica Murale presso l’istituto d’ Arte Venturi di Modena, in un linguaggio figurativo non esente da rimandi alla cultura figurativa nord europea assimilata dal maestro modenese durante il suo lungo soggiorno nelle regioni baltiche.
Qualche anno più tardi, dopo il rifacimento della facciata (1930) con discutibili richiami ad un improbabile stile romanico, nel 1935 si procedette ad un’ulteriore stravolgimento di ciò che restava dell’antico Oratorio, edificando una nuova cappelletta a conclusione d’una opprimente galleria a botte, ove ancor oggi troneggia una Pietà di cartapesta.
Gaetano Ghiraldi
Storico dell’arte della Soprintendenza per il PSAE di Modena e Reggio Emilia
Modena, 8/02/2007