MESSAGGIO
DEL SANTO PADRE
PER
LA CELEBRAZIONE DELLA
XLVI
GIORNATA MONDIALE DELLA PACE
1°
GENNAIO 2013
BEATI
GLI OPERATORI DI PACE
1.
Ogni anno nuovo porta con sé l’attesa di un mondo migliore. In tale
prospettiva, prego Dio, Padre dell’umanità, di concederci la concordia
e la pace, perché possano compiersi per tutti le aspirazioni di una
vita felice e prospera.
A
50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, che ha consentito di
rafforzare la missione della Chiesa nel mondo, rincuora constatare che
i cristiani, quale Popolo di Dio in comunione con Lui e in cammino tra
gli uomini, si impegnano nella storia condividendo gioie e speranze,
tristezze ed angosce [1], annunciando la salvezza di Cristo e
promuovendo la pace per tutti.
In
effetti, i nostri tempi, contrassegnati dalla globalizzazione, con i
suoi aspetti positivi e negativi, nonché da sanguinosi conflitti ancora
in atto e da minacce di guerra, reclamano un rinnovato e corale impegno
nella ricerca del bene comune, dello sviluppo di tutti gli uomini e di
tutto l’uomo.
Allarmano
i focolai
di tensione e di contrapposizione causati da crescenti diseguaglianze
fra ricchi e poveri, dal prevalere di una mentalità egoistica e
individualista espressa anche da un capitalismo finanziario sregolato.
Oltre a svariate forme di terrorismo e di criminalità internazionale,
sono pericolosi per la pace quei fondamentalismi e quei fanatismi che
stravolgono la vera natura della religione, chiamata a favorire la
comunione e la riconciliazione tra gli uomini.
E
tuttavia, le molteplici opere di pace, di cui è ricco il mondo,
testimoniano l’innata vocazione dell’umanità alla pace. In ogni persona
il desiderio di pace è aspirazione essenziale e coincide, in certa
maniera, con il desiderio di una vita umana piena, felice e ben
realizzata. In altri termini, il desiderio di pace corrisponde ad un
principio morale fondamentale, ossia, al dovere-diritto di uno sviluppo
integrale, sociale, comunitario, e ciò fa parte del disegno di Dio
sull’uomo. L’uomo è fatto per la pace che è dono di Dio.
Tutto
ciò mi ha suggerito di ispirarmi per questo Messaggio alle parole di
Gesù Cristo: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati
figli di Dio» (Mt 5,9).
La
beatitudine evangelica
2.
Le beatitudini, proclamate da Gesù (cfr Mt 5,3-12 e Lc 6,20-23), sono
promesse. Nella tradizione biblica, infatti, quello della beatitudine è
un genere letterario che porta sempre con sé una buona notizia, ossia
un vangelo, che culmina in una promessa. Quindi, le beatitudini non
sono solo raccomandazioni morali, la cui osservanza prevede a tempo
debito – tempo situato di solito nell’altra vita – una ricompensa,
ossia una situazione di futura felicità. La beatitudine consiste,
piuttosto, nell’adempimento di una promessa rivolta a tutti coloro che
si lasciano guidare dalle esigenze della verità, della giustizia e
dell’amore. Coloro che si affidano a Dio e alle sue promesse appaiono
spesso agli occhi del mondo ingenui o lontani dalla realtà. Ebbene,
Gesù dichiara ad essi che non solo nell’altra vita, ma già in questa
scopriranno di essere fi gli di Dio, e che da sempre e per sempre Dio è
del tutto solidale con loro. Comprenderanno che non sono soli, perché
Egli è dalla parte di coloro che s’impegnano per la verità, la
giustizia e l’amore. Gesù, rivelazione dell’amore del Padre, non esita
ad offrirsi nel sacrificio di se stesso. Quando si accoglie Gesù
Cristo, Uomo-Dio, si vive l’esperienza gioiosa di un dono immenso: la
condivisione della vita stessa di Dio, cioè la vita della grazia, pegno
di un’esistenza pienamente beata. Gesù Cristo, in particolare, ci dona
la pace vera che nasce dall’incontro fiducioso dell’uomo con Dio.
La
beatitudine di Gesù dice che la pace è dono messianico e opera umana ad
un tempo. In effetti, la pace presuppone un umanesimo aperto alla
trascendenza. È frutto del dono reciproco, di un mutuo arricchimento,
grazie al dono che scaturisce da Dio e permette di vivere con gli altri
e per gli altri. L’etica della pace è etica della comunione e della
condivisione. È indispensabile, allora, che le varie culture odierne
superino antropologie ed etiche basate su assunti teorico-pratici
meramente soggettivistici e pragmatici, in forza dei quali i rapporti
della convivenza vengono ispirati a criteri di potere o di profitto, i
mezzi diventano fini e viceversa, la cultura e l’educazione sono
centrate soltanto sugli strumenti, sulla tecnica e sull’efficienza.
Precondizione della pace è lo smantellamento della dittatura del
relativismo e dell’assunto di una morale totalmente autonoma, che
preclude il riconoscimento dell’imprescindibile legge morale naturale
scritta da Dio nella coscienza di ogni uomo. La pace è costruzione
della convivenza in termini razionali e morali, poggiando su un
fondamento la cui misura non è creata dall’uomo, bensì da Dio. «Il
Signore darà potenza al suo popolo, benedirà il suo popolo con la
pace», ricorda il Salmo 29 (v. 11).
La
pace: dono di Dio e opera dell’uomo
3.
La pace concerne l’integrità della persona umana ed implica il
coinvolgimento di tutto l’uomo. È pace con Dio, nel vivere secondo la
sua volontà. È pace interiore con se stessi, e pace esteriore con il
prossimo e con tutto il creato. Comporta principalmente, come scrisse
il beato Giovanni XXIII nell’Enciclica Pacem in terris, di cui tra
pochi mesi ricorrerà il cinquantesimo anniversario, la costruzione di
una convivenza fondata sulla verità, sulla libertà, sull’amore e sulla
giustizia [2]. La negazione di ciò che costituisce la vera natura
dell’essere umano, nelle sue dimensioni essenziali, nella sua
intrinseca capacità di conoscere il vero e il bene e, in ultima
analisi, Dio stesso, mette a repentaglio la costruzione della pace.
Senza la verità sull’uomo, iscritta dal Creatore nel suo cuore, la
libertà e l’amore sviliscono, la giustizia perde il fondamento del suo
esercizio.
Per
diventare autentici operatori di pace sono fondamentali l’attenzione
alla dimensione trascendente e il colloquio costante con Dio, Padre
misericordioso, mediante il quale si implora la redenzione
conquistataci dal suo Figlio Unigenito. Così l’uomo può vincere quel
germe di oscuramento e di negazione della pace che è il peccato in
tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e
di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste.
La
realizzazione della pace dipende soprattutto dal riconoscimento di
essere, in Dio, un’unica famiglia umana. Essa si struttura, come ha
insegnato l’Enciclica Pacem in terris, mediante relazioni
interpersonali ed istituzioni sorrette ed animate da un «noi»
comunitario, implicante un ordine morale, interno ed esterno, ove si
riconoscono sinceramente, secondo verità e giustizia, i reciproci
diritti e i vicendevoli doveri. La pace è ordine vivificato ed
integrato dall’amore, così da sentire come propri i bisogni e le
esigenze altrui, fare partecipi gli altri dei propri beni e rendere
sempre più diffusa nel mondo la comunione dei valori spirituali. È
ordine realizzato nella libertà, nel modo cioè che si addice alla
dignità di persone, che per la loro stessa natura razionale, assumono
la responsabilità del proprio operare [3].
La
pace non è un sogno, non è un’utopia: è possibile. I nostri occhi
devono vedere più in profondità, sotto la superficie delle apparenze e
dei fenomeni, per scorgere una realtà positiva che esiste nei cuori,
perché ogni uomo è creato ad immagine di Dio e chiamato a crescere,
contribuendo all’edificazione di un mondo nuovo. Infatti, Dio stesso,
mediante l’incarnazione del Figlio e la redenzione da Lui operata, è
entrato nella storia facendo sorgere una nuova creazione e una nuova
alleanza tra Dio e l’uomo (cfr Ger 31,31-34), dandoci la possibilità di
avere « un cuore nuovo » e « uno spirito nuovo » (cfr Ez 36,26).
Proprio
per questo, la Chiesa è convinta che vi sia l’urgenza di un nuovo
annuncio di Gesù Cristo, primo e principale fattore dello sviluppo
integrale dei popoli e anche della pace. Gesù, infatti, è la nostra
pace, la nostra giustizia, la nostra riconciliazione (cfr Ef 2,14; 2
Cor 5,18). L’operatore di pace, secondo la beatitudine di Gesù, è colui
che ricerca il bene dell’altro, il bene pieno dell’anima e del corpo,
oggi e domani.
Da questo insegnamento si
può evincere che ogni persona e ogni comunità – religiosa, civile,
educativa e culturale –, è chiamata ad operare la pace. La pace è
principalmente realizzazione del bene comune delle varie società,
primarie ed intermedie, nazionali, internazionali e in quella mondiale.
Proprio per questo si può ritenere che le vie di attuazione del bene
comune siano anche le vie da percorrere per ottenere la pace.
Operatori di pace sono
coloro che amano, difendono e promuovono la vita nella sua integralità
4. Via di realizzazione
del bene comune e della pace è anzitutto il rispetto per la vita umana,
considerata nella molteplicità dei suoi aspetti, a cominciare dal suo
concepimento, nel suo svilupparsi, e sino alla sua fine naturale. Veri
operatori di pace sono, allora, coloro che amano, difendono e
promuovono la vita umana in tutte le sue dimensioni: personale,
comunitaria e trascendente. La vita in pienezza è il vertice della
pace. Chi vuole la pace non può tollerare attentati e delitti contro la
vita.
Coloro che non apprezzano
a sufficienza il valore della vita umana e, per conseguenza, sostengono
per esempio la liberalizzazione dell’aborto, forse non si rendono conto
che in tal modo propongono l’inseguimento di una pace illusoria. La
fuga dalle responsabilità, che svilisce la persona umana, e tanto più
l’uccisione di un essere inerme e innocente, non potranno mai produrre
felicità o pace. Come si può, infatti, pensare di realizzare la pace,
lo sviluppo integrale dei popoli o la stessa salvaguardia
dell’ambiente, senza che sia tutelato il diritto alla vita dei più
deboli, a cominciare dai nascituri? Ogni lesione alla vita, specie
nella sua origine, provoca inevitabilmente danni irreparabili allo
sviluppo, alla pace, all’ambiente. Nemmeno è giusto codificare in
maniera subdola falsi diritti o arbitrii, che, basati su una visione
riduttiva e relativistica dell’essere umano e sull’abile utilizzo di
espressioni ambigue, volte a favorire un preteso diritto all’aborto e
all’eutanasia, minacciano il diritto fondamentale alla vita.
Anche la struttura
naturale del matrimonio va riconosciuta e promossa, quale unione fra un
uomo e una donna, rispetto ai tentativi di renderla giuridicamente
equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la
danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il
suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale.
Questi
principi non sono verità di fede, né sono solo una derivazione del
diritto alla libertà religiosa. Essi sono inscritti nella natura umana
stessa, riconoscibili con la ragione, e quindi sono comuni a tutta
l’umanità. L’azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque
carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo
dalla loro affiliazione religiosa. Tale azione è tanto più necessaria
quanto più questi principi vengono negati o mal compresi, perché ciò
costituisce un’offesa contro la verità della persona umana, una ferita
grave inflitta alla giustizia e alla pace.
Perciò,
è anche un’importante cooperazione alla pace che gli ordinamenti
giuridici e l’amministrazione della giustizia riconoscano il diritto
all’uso del principio dell’obiezione di coscienza nei confronti di
leggi e misure governative che attentano contro la dignità umana, come
l’aborto e l’eutanasia.
Tra
i diritti umani basilari, anche per la vita pacifica dei popoli, vi è
quello dei singoli e delle comunità alla libertà religiosa. In questo
momento storico, diventa sempre più importante che tale diritto sia
promosso non solo dal punto di vista negativo, come libertà da – ad
esempio, da obblighi e costrizioni circa la libertà di scegliere la
propria religione –, ma anche dal punto di vista positivo, nelle sue
varie articolazioni, come libertà di: ad esempio, di testimoniare la
propria religione, di annunciare e comunicare il suo insegnamento; di
compiere attività educative, di beneficenza e di assistenza che
permettono di applicare i precetti religiosi; di esistere e agire come
organismi sociali, strutturati secondo i principi dottrinali e i fini
istituzionali che sono loro propri. Purtroppo, anche in Paesi di antica
tradizione cristiana si stanno moltiplicando gli episodi di
intolleranza religiosa, specie nei confronti del cristianesimo e di
coloro che semplicemente indossano i segni identitari della propria
religione.
L’operatore
di pace deve anche tener presente che, presso porzioni crescenti
dell’opinione pubblica, le ideologie del liberismo radicale e della
tecnocrazia insinuano il convincimento che la crescita economica sia da
conseguire anche a prezzo dell’erosione della funzione sociale dello
Stato e delle reti di solidarietà della società civile, nonché dei
diritti e dei doveri sociali. Ora, va considerato che questi diritti e
doveri sono fondamentali per la piena realizzazione di altri, a
cominciare da quelli civili e politici.
Tra
i diritti e i doveri sociali oggi maggiormente minacciati vi è il
diritto al lavoro. Ciò è dovuto al fatto che sempre più il lavoro e il
giusto riconoscimento dello statuto giuridico dei lavoratori non
vengono adeguatamente valorizzati, perché lo sviluppo economico
dipenderebbe soprattutto dalla piena libertà dei mercati. Il lavoro
viene considerato così una variabile dipendente dei meccanismi
economici e finanziari. A tale proposito, ribadisco che la dignità
dell’uomo, nonché le ragioni economiche, sociali e politiche, esigono
che si continui « a perseguire quale priorità l’obiettivo dell’accesso
al lavoro o del suo mantenimento, per tutti » [4]. In vista della
realizzazione di questo ambizioso obiettivo è precondizione una
rinnovata considerazione del lavoro, basata su principi etici e valori
spirituali, che ne irrobustisca la concezione come bene fondamentale
per la persona, la famiglia, la società. A un tale bene corrispondono
un dovere e un diritto che esigono coraggiose e nuove politiche del
lavoro per tutti.
Costruire
il bene della pace mediante un nuovo modello di sviluppo e di economia
5.
Da più parti viene riconosciuto che oggi è necessario un nuovo modello
di sviluppo, come anche un nuovo sguardo sull’economia. Sia uno
sviluppo integrale, solidale e sostenibile, sia il bene comune esigono
una corretta scala di beni-valori, che è possibile strutturare avendo
Dio come riferimento ultimo. Non è sufficiente avere a disposizione
molti mezzi e molte opportunità di scelta, pur apprezzabili. Tanto i
molteplici beni funzionali allo sviluppo, quanto le opportunità di
scelta devono essere usati secondo la prospettiva di una vita buona, di
una condotta retta che riconosca il primato della dimensione spirituale
e l’appello alla realizzazione del bene comune. In caso contrario, essi
perdono la loro giusta valenza, finendo per assurgere a nuovi idoli.
Per
uscire dall’attuale crisi finanziaria ed economica – che ha per effetto
una crescita delle disuguaglianze – sono necessarie persone, gruppi,
istituzioni che promuovano la vita favorendo la creatività umana per
trarre, perfino dalla crisi, un’occasione di discernimento e di un
nuovo modello economico. Quello prevalso negli ultimi decenni postulava
la ricerca della massimizzazione del profitto e del consumo, in
un’ottica individualistica ed egoistica, intesa a valutare le persone
solo per la loro capacità di rispondere alle esigenze della
competitività. In un’altra prospettiva, invece, il vero e duraturo
successo lo si ottiene con il dono di sé, delle proprie capacità
intellettuali, della propria intraprendenza, poiché lo sviluppo
economico vivibile, cioè autenticamente umano, ha bisogno del principio
di gratuità come espressione di fraternità e della logica del dono [5].
Concretamente, nell’attività economica l’operatore di pace si configura
come colui che instaura con i collaboratori e i colleghi, con i
committenti e gli utenti, rapporti di lealtà e di reciprocità. Egli
esercita l’attività economica per il bene comune, vive il suo impegno
come qualcosa che va al di là del proprio interesse, a beneficio delle
generazioni presenti e future. Si trova così a lavorare non solo per
sé, ma anche per dare agli altri un futuro e un lavoro dignitoso.
Nell’ambito
economico, sono richieste, specialmente da parte degli Stati, politiche
di sviluppo industriale ed agricolo che abbiano cura del progresso
sociale e dell’universalizzazione di uno Stato di diritto e
democratico. È poi fondamentale ed imprescindibile la strutturazione
etica dei mercati monetari, finanziari e commerciali; essi vanno
stabilizzati e maggiormente coordinati e controllati, in modo da non
arrecare danno ai più poveri. La sollecitudine dei molteplici operatori
di pace deve inoltre volgersi – con maggior risolutezza rispetto a
quanto si è fatto sino ad oggi – a considerare la crisi alimentare, ben
più grave di quella finanziaria. Il tema della sicurezza degli
approvvigionamenti alimentari è tornato ad essere centrale nell’agenda
politica internazionale, a causa di crisi connesse, tra l’altro, alle
oscillazioni repentine dei prezzi delle materie prime agricole, a
comportamenti irresponsabili da parte di taluni operatori economici e a
un insufficiente controllo da parte dei Governi e della Comunità
internazionale. Per fronteggiare tale crisi, gli operatori di pace sono
chiamati a operare insieme in spirito di solidarietà, dal livello
locale a quello internazionale, con l’obiettivo di mettere gli
agricoltori, in particolare nelle piccole realtà rurali, in condizione
di poter svolgere la loro attività in modo dignitoso e sostenibile dal
punto di vista sociale, ambientale ed economico.
Educazione
per una cultura di pace: il ruolo della famiglia e delle istituzioni
6.
Desidero ribadire con forza che i molteplici operatori di pace sono
chiamati a coltivare la passione per il bene comune della famiglia e
per la giustizia sociale, nonché l’impegno di una valida educazione
sociale.
Nessuno
può ignorare o sottovalutare il ruolo decisivo della famiglia, cellula
base della società dal punto di vista demografico, etico, pedagogico,
economico e politico. Essa ha una naturale vocazione a promuovere la
vita: accompagna le persone nella loro crescita e le sollecita al mutuo
potenziamento mediante la cura vicendevole. In specie, la famiglia
cristiana reca in sé il germinale progetto dell’educazione delle
persone secondo la misura dell’amore divino. La famiglia è uno dei
soggetti sociali indispensabili nella realizzazione di una cultura
della pace. Bisogna tutelare il diritto dei genitori e il loro ruolo
primario nell’educazione dei figli, in primo luogo nell’ambito morale e
religioso. Nella famiglia nascono e crescono gli operatori di pace, i
futuri promotori di una cultura della vita e dell’amore [6].
In
questo immenso compito di educazione alla pace sono coinvolte in
particolare le comunità religiose. La Chiesa si sente partecipe di una
così grande responsabilità attraverso la nuova evangelizzazione, che ha
come suoi cardini la conversione alla verità e all’amore di Cristo e,
di conseguenza, la rinascita spirituale e morale delle persone e delle
società. L’incontro con Gesù Cristo plasma gli operatori di pace
impegnandoli alla comunione e al superamento dell’ingiustizia.
Una
missione speciale nei confronti della pace è ricoperta dalle
istituzioni culturali, scolastiche ed universitarie. Da queste è
richiesto un notevole contributo non solo alla formazione di nuove
generazioni di leader, ma anche al rinnovamento delle istituzioni
pubbliche, nazionali e internazionali. Esse possono anche contribuire
ad una riflessione scientifica che radichi le attività economiche e
finanziarie in un solido fondamento antropologico ed etico. Il mondo
attuale, in particolare quello politico, necessita del supporto di un
nuovo pensiero, di una nuova sintesi culturale, per superare tecnicismi
ed armonizzare le molteplici tendenze politiche in vista del bene
comune. Esso, considerato come insieme di relazioni interpersonali ed
istituzionali positive, a servizio della crescita integrale degli
individui e dei gruppi, è alla base di ogni vera educazione alla pace.
Una pedagogia dell’operatore di pace
7.
Emerge, in conclusione, la necessità di proporre e promuovere una
pedagogia della pace. Essa richiede una ricca vita interiore, chiari e
validi riferimenti morali, atteggiamenti e stili di vita appropriati.
Difatti, le opere di pace concorrono a realizzare il bene comune e
creano l’interesse per la pace, educando ad essa. Pensieri, parole e
gesti di pace creano una mentalità e una cultura della pace,
un’atmosfera di rispetto, di onestà e di cordialità. Bisogna, allora,
insegnare agli uomini ad amarsi e a educarsi alla pace, e a vivere con
benevolenza, più che con semplice tolleranza. Incoraggiamento
fondamentale è quello di « dire no alla vendetta, di riconoscere i
propri torti, di accettare le scuse senza cercarle, e infine di
perdonare » [7], in modo che gli sbagli e le offese possano essere
riconosciuti in verità per avanzare insieme verso la riconciliazione.
Ciò richiede il diffondersi di una pedagogia del perdono. Il male,
infatti, si vince col bene, e la giustizia va ricercataimitando Dio
Padre che ama tutti i suoi fi gli (cfr Mt 5,21-48). È un lavoro lento,
perché suppone un’evoluzione spirituale, un’educazione ai valori più
alti, una visione nuova della storia umana. Occorre rinunciare alla
falsa pace che promettono gli idoli di questo mondo e ai pericoli che
la accompagnano, a quella falsa pace che rende le coscienze sempre più
insensibili, che porta verso il ripiegamento su se stessi, verso
un’esistenza atrofizzata vissuta nell’indifferenza. Al contrario, la
pedagogia della pace implica azione, compassione, solidarietà, coraggio
e perseveranza.
Gesù
incarna l’insieme di questi atteggiamenti nella sua esistenza, fi no al
dono totale di sé, fino a « perdere la vita » (cfr Mt 10,39; Lc 17,33;
Gv 12,25). Egli promette ai suoi discepoli che, prima o poi, faranno la
straordinaria scoperta di cui abbiamo parlato inizialmente, e cioè che
nel mondo c’è Dio, il Dio di Gesù, pienamente solidale con gli uomini.
In questo contesto, vorrei ricordare la preghiera con cui si chiede a
Dio di renderci strumenti della sua pace, per portare il suo amore ove
è odio, il suo perdono ove è offesa, la vera fede ove è dubbio. Da
parte nostra, insieme al beato Giovanni XXIII, chiediamo a Dio che
illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alla sollecitudine
per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il
prezioso dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le
barriere che dividono, a rafforzare i vincoli della mutua carità, a
comprendere gli altri e a perdonare coloro che hanno recato ingiurie,
così che in virtù della sua azione, tutti i popoli della terra si
affratellino e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace
[8].
Con
questa invocazione, auspico che tutti possano essere veri operatori e
costruttori di pace, in modo che la città dell’uomo cresca in fraterna
concordia, nella prosperità e nella pace.
Dal
Vaticano, 8 Dicembre 2012
BENEDICTUS PP XVI
[1]
Cfr CONC. ECUM. VAT. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes, 1.
[2]
Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963),
265-266.
[3]
Cfr ibid.: AAS 55 (1963), 266.
[4]
BENEDETTO XVI, Lett. enc. Caritas in veritate (29 giugno 2009), 32: AAS
101 (2009), 666-667.
[5]
Cfr ibid., 34 e 36: AAS 101 (2009), 668-670 e 671-672.
[6]
Cfr GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace
1994 (8 dicembre 1993): AAS 86 (1994), 156-162.
[7]
BENEDETTO XVI, Discorso in occasione dell’Incontro con i membri del
Governo, delle istituzioni della Repubblica, con il corpo diplomatico,
i capi religiosi e rappresentanze del mondo della cultura,
Baabda-Libano (15 settembre 2012): L’Osservatore Romano, 16 settembre
2012, p. 7.
[8]
Cfr Lett. enc. Pacem in terris (11 aprile 1963): AAS 55 (1963), 304.
La
fonte letteraria di questo documento è il sito internet della Santa
Sede, raggiungibile a questo indirizzo:
http://www.vatican.va/
Il documento in oggetto è accessibile a tutti, direttamente a questo
indirizzo:
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/messages/peace/documents/hf_ben-xvi_mes_20121208_xlvi-world-day-peace_it.html