La Chiesa Parrocchiale di San Bartolomeo di Formigine

Le origini

All’interno delle mura castellane sorgeva nel XIV secolo una piccola chiesetta dedicata a San Bartolomeo Apostolo che fungeva sia da cappella della Rocca che da parrocchia.
Con l’espandersi della comunità formiginese, il piccolo tempio venne gradualmente abbandonato mentre l’altra chiesetta antistante il Castello, dedicata a San Rocco ed edificata a spese della Comunità non oltre la fine del XV secolo, era divenuta col tempo la parrocchia della città, assumendo essa il titolo di San Bartolomeo (1575 ca).
Questo poverissimo tempietto, già bisognoso di restauri nel 1570, si affacciava con l’antico pronao sull’ampio piazzale della Rocca, fulcro della vita cittadina, detto Piazza della Loggia per la presenza di una modesta costruzione in legno con tetto a capanna, ove veniva amministrata la Giustizia e si svolgeva il mercato nei giorni dedicati alle fiere.

Le Confraternite della Parrocchia di San Bartolomeo


La Confraternita di S.Maria del Ponte

Intorno al 1570 vennero istituite presso la Parrocchia di San Bartolomeo quattro Confraternite delle quali la più antica, quella di "S. Maria del Ponte", riconoscibile per la cappa bianca indossata dai confratelli, venne fondata nel 1571, ai tempi del Vescovo Sisto Visdomini (1571 - 1590).

La Confraternita del "Corpus Domini" o del "SS. Sacramento" detta anche "Illuminaria"

La seconda Confraternita, anch’essa istituita dal parroco Cristoforo Targoni (1575 - ?) l' 8 maggio del 1573, ricevette in dotazione l’altare del Crocifisso ottenendo, nel 1604, l’autorizzazione del Vescovo Silingardi (1593 - 1607) ad adottare la cappa rossa.
Citata nei documenti come Confraternita del "Corpus Domini" o del "SS. Sacramento", questa Compagnia era stata ribattezzata dai fedeli col nome di "Illuminaria", per le funzioni ch’essa svolgeva nel prendersi cura dell’illuminazione della Chiesa.
Quando nel 1651 i Confratelli del SS. Sacramento si trasferirono definitivamente nell’ Oratorio della SS. Annunziata, l’altare del Crocifisso, di loro proprietà, passò nella disponibilità della Parrocchiale di San Bartolomeo.
Durante gli anni di permanenza presso la Parrocchiale (1573 – 1651) questa Confraternita seppe guadagnarsi la riconoscenza dei formiginesi sia per l’impegno religioso dei suoi componenti che per le risorse economiche messe a disposizione della comunità.
Ad esempio, in occasione della terribile epidemia di pestilenza del 1630, che aveva imperversato sul territorio per due anni nonostante le drastiche misure igieniche adottate dal Gran Consiglio (21/05/1630), la Confraternita si adoperò per l’erezione di un nuovo altare, commissionando a Rodolfo Franciosini da Castelvetro una Madonna col Bambino in Gloria ed i SS. Rocco, Sebastiano, Carlo Borromeo e Bernardino, che venne elevata sull’altare di San Rocco, da allora detto anche Altare del Voto.
Andata distrutta la tela del Franciosini nell’incendio del 1648, l’Illuminaria provvide, per la seconda volta, ad adornare l’Altare del Voto con un dipinto raffigurante la Madonna di Reggio con i SS. Sebastiano, Bernardino, Rocco e Carlo Borromeo, la cui presenza in Chiesa risulta documentata fino al 1833.

La Confraternita della Madonna del Rosario

Fondata da Tommaso Cenci, lettore del Convento di San Domenico di Modena, la Confraternita dedicata alla Madonna del Rosario indossava la cappa color "turchino". Ad essa venne assegnato l’altare di San Nicolò (1583), abbellito dagli stucchi di Paolo Bisogni (1588), esponente di una celebre famiglia di plasticatori.
Probabilmente questa Compagnia non ebbe alcuna immagine della Madonna del Rosario da venerare almeno fino al 1622, anno in cui il Sodalizio di S. Maria del Ponte le cedette la propria cappella.
Nel 1656 la Confraternita innalzò sul proprio altare la "Madonna del Rosario circondata dai Misteri” che ancor oggi si ammira nella seconda cappella sinistra della Chiesa. Erroneamente ritenuta, dalla tradizione ottocentesca opera giovanile di Bartolomeo Schedoni, la tela è invece da assegnarsi alla mano del lombardo Vincenzo Spisanelli (1595-1663), uno dei numerosissimi allievi di Dionisio Calvaert.

La Confraternita delle Stigmate di San Francesco

La quarta ed ultima Confraternita, dedicata alle Stigmate di San Francesco, si distingueva dalle altre per l' umile saio francescano indossato dai sodali durante le cerimonie religiose. Essa venne eretta nell’oratorio di San Francesco detto il Conventino il 27 marzo del 1693, cioè quaranta anni più tardi della soppressione dei piccoli Conventi dei Servi di Maria.

Gli antichi altari della Parrocchia

Intorno alla metà del XVII secolo la Parrocchiale possedeva cinque altari: nel coro, ove figurava l’immagine della Madonna del Rosario affiancata da due grandi tele con San Rocco e Sant' Agata, giudicate "vecchie" già nel 1635, vi era l'Altar maggiore col tabernacolo ligneo sovrastato da un Crocifisso; seguiva poi la Cappella del Rosario con la Madonna dello Spisanelli ed una scultura lignea raffigurante la Madonna col Bambino; sul terzo Altare, realizzato nel 1655 dal reggiano Giacomo Carboni, si venerava l’immagine di S. Antonio da Padova e, su quello del Voto, campeggiava dal 1648 il quadro della Madonna di Reggio e quattro Santi affiancato da un rilievo in stucco della Madonna col Bambino; infine sull'ultimo altare figurava una tela raffigurante un altro S. Antonio, con a lato una piccola scultura lignea col Battesimo di Cristo.

L’antico organo della Parrocchiale

Vi era poi l'antico e prezioso organo, "della lunghezza di sette piedi e con bellissimo ornimento", costruito da Antonio Colonna nel 1632 su commissione dell’Arciconfraternita del Rosario.
Restaurato da Giovanni Toschi una prima volta nel 1642 e, forse, una seconda volta dallo stesso Colonna e da suo figlio Giovanni Paolo, subì certamente un impegnativo intervento nel 1686 quando il Comune dovette finanziare un nuovo restauro, premurandosi di impartire ben precise e severe direttive circa l'accesso allo strumento.
Agli inizi del XVIII secolo, l'organo venne arricchito di nuovi mantici e di un registro di Voce Umana (1722) e, successivamente, di ulteriori contrabbassi aggiunti da Domenico Traeri nel 1736. Con le sue 371 canne, dieci contrabassi ed il Registro dell’ottavino inserito da Tommaso Piacentini, il prezioso organo del Colonna si presentava come un prodigioso esemplare di tecnica strumentale e di rara e raffinata decorazione lignea.
Nel secondo dopoguerra, dopo la distruzione del coro della Chiesa e del suo arredo ad opera degli eventi bellici (1945), il prezioso strumento venne sostituito (1950) con il più modesto organo di Santa Maria del Ponte, costruito da Francesco e Domenico Traeri (1690) e recentemente restaurato da Pier Paolo Bigi (1981).


La Parrocchiale nel XVIII secolo

Se già nel 1688 la Comunità aveva avvertito l’esigenza di restaurare la Chiesa di San Bartolomeo commissionando il progetto di un nuovo coro, fu soltanto nel 1729 che si dette davvero inizio ai lavori di radicale ristrutturazione della plebana.
Erano gli anni in cui il Comune di Formigine si era mostrato particolarmente attento nella difesa della memoria storica della città fondando l'Archivio Comunale (1697), e prendendo sotto la propria custodia numerosi oggetti d'arte sacra appartenenti alla parrocchiale, tra cui il prezioso reliquiario, del valore di ben 359 lire modenesi, commissionato dal parroco Tirabassi († 1729) a Venezia (1693/94).
Nel 1727, dunque, venne affidato l’incarico del progetto di ristrutturazione dell’antica Chiesa di San Bartolomeo all’architetto ducale di Pieve Modolena Gian Maria Ferraroni detto il "Brigo" (1662- 1755), reduce dalla direzione dei lavori per San Francesco a Reggio Emilia (1709-1725).
Il Ferrraroni, che tredici anni addietro aveva riedificato il Conventino, intraprese l’opera di rifacimento di San Bartolomeo inglobando nel nuovo edificio l’antica abside della Chiesa, già restaurata nel 1676.
Alla decorazione in stucco dell’interno provvide tra il 1730 ed il 1732 Domenico Anastasi, già impegnato col "Brigo" qualche anno prima (1729) nell’Oratorio dei Servi di Formigine.
Ma quando nel 1735 l’arciprete Domenico Bellini chiese al Vescovo Stefano Fogliani (1717-1742) di benedire la nuova fabbrica del Ferraroni, la Parrocchiale di San Bartolomeo si presentava ancora priva della facciata, come ancor oggi può vedersi in una foto d'inizio secolo reperita da Cesare Tacchini nell’archivio Comunale di Formigine.
Restava tuttavia ammirevole l’opera portata a termine dall’archietto di Pieve Modolena, sia per l’esemplare rimando all’ essenziale linguaggio dell’architettura paleocristiana dell’alzato, e sia per la semplicità della facciata a capanna, ideata in lieve contrapposizione alla misurata armonia, festosa ma non ridondante, dell'interno.
Per il Ferraroni si era, soprattutto, posto il difficile problema di recuperare una modesta preesistenza strutturale ad un ritmo moderno e monumentale. Problema che l’archietto affrontò e risolse brillantemente amplificando le dimensioni del Tempio in senso longitudinale e scegliendo la soluzione della volta a botte, ritmicamente spezzata da paraste abbinate in un susseguirsi illusionistico di finte campate in fuga verso la profonda scodella del coro, in modo da riportare ad unità gli spazi disarticolati del vecchio edificio.
La facciata della parrocchiale, lasciata grezza dal Ferraroni, venne completata, soltanto due secoli più tardi (1911), dall’ingegnere Carlo Castiglione, sulla scorta d'un disegno di Luigi Alberto Gandini (1827-1906), eminente studioso e collezionista modenese, oltre che Priore della Confraternita del SS. Sacramento dal 1890 al 1892.

Gli Altari della Parrocchiale dopo il 1735

In seguito ai lavori di ristrutturazione settecentesca, l’antica dislocazione degli altari subì delle profonde modifiche poiché non soltanto essi passarono da cinque a sette, ma vennero disposti secondo un nuovo ordine, ben descritto sia dal Pigioli (1795) che dal Giberti (1833). Nel Coro si ammirava l’immagine di San Bartolomeo Apostolo di Giovan Maria Cioni (1723), andato perduto durante le incursioni del 1945 mentre, nella prima cappella a sinistra, "risarcita" nel 1786, figurava la Madonna del Rosario circondata dai quindici misteri ed illuminata dai candelieri "inargentati" dal Caldani nel 1768. Sul secondo altare , dedicato a S.Antonio da Padova e di proprietà della famiglia Calcagnini, era stata innalzata l'immagine della Madonna e S.Antonio alla quale il Marchese Teofilo volle donare un preziosissimo calice d'argento sbalzato (1753) lasciatogli in eredità dallo zio Cardinale, Carlo Calcagnini (1679-1746). Infine, sul terzo altare, dedicato al Crocifisso, si venerava una scultura con "l'effigie del redentore in Croce...". Oltre la terza cappella, e quindi subito a sinistra dell'entrata, vi era il piccolo vano del Battistero con il fonte decorato da un rilievo ligneo raffigurante il Battesimo di Cristo. Dal lato dell' Epistola, sul primo altare appartenente alla Comunità e dedicato a S.Rocco, rimase esposta almeno fino al 1833 la Madonna della Ghiara e quattro Santi, dipinta nel 1648; sul secondo altare, rifatto nel 1724 e dedicato a S.Antonio Abate per volontà di Pietro Gandini, era collocata la tela, che tuttora si ammira, raffigurante S.Antonio Abate e San Mauro Eremita (1683), dipinta da Oliviero Dauphin ( 1634-1683). Risale, invece, al 1724 la tela ovale del paliotto raffigurante anch’essa un S.Antonio Abate, probabile opera di Giovan Maria Cioni, attivo nel coro della plebana tra il 1723 ed 1724.
Infine, sul terzo ed ultimo altare, era racchiusa in una nicchia protetta da un vetro ed una tendina, una scultura raffigurante la Madonna del Carmine col Bambino, vestita di seta rossa, ed affiancata da due tele ovali con S.Gaetano e S.Andrea Avellino.

La Parrocchiale nel XIX secolo

Nei primi anni dell’ottocento (1803) venne prospettata la necessità di ampliare il coro. Ma il progetto esecutivo, approntato da Giuseppe Maria Soli su richiesta dell’arciprete Andrea Lancellotti, rimase lettera morta a causa delle scarse risorse economiche della Chiesa. Pur tuttavia non cessarono i lavori di abbellimento interno grazie all’impegno finanziario dei Sodalizi a cui facevano capo gli altari. Infatti, gli ex Confratelli del Rosario nel 1809 decidevano di commissionare una balaustra di marmo per la cappella rimasta di loro pertinenza nonostante essi fossero confluiti, dopo la soppressione, nel Arciconfraternita del SS. Crocifisso, di cui formavano la seconda sezione.
Nel corso dello stesso anno (1809) si provvide a dotare di balaustre in marmo anche le altre tre cappelle; ovvero quella del SS. Crocifisso, la cui balaustra fu donata da Don Andrea Lucchi; quella della Cappella del Voto, che venne finanziata dalla Comunità; ed, infine, la cappella dedicata alla Madonna del Carmine. Quest’ultima non soltanto venne chiusa da una nuova balaustra in marmo ma, per iniziativa di Andrea Lancellotti, vide anche la sostituzione del vecchio altare ligneo con il bell’altare marmoreo della cappella centrale della Chiesa di S.Eufemia, i cui costi, ammontanti a cinquanta zecchini, furono sopportati dalla famiglia Briani.


Infine, nel 1914, una volta ultimato il rivestimento della facciata ad opera del Castiglione, sia la balaustrata della Cappella del Voto che quella del Rosario vennero rimosse e spostate ai lati dell’altar maggiore dal Parroco Adriano Morselli (1868 - 1944), al fine di aprire due varchi che permettessero di comunicare verso l' esterno.

Il campanile

Ma tornando alle vicende ottocentesche, vi è da aggiungere che nel 1839 il parroco Giambattista Giberti intervenne pesantemente sulla conformazione architettonica della Chiesa, collegando tra di loro le cappelle laterali attraverso dei "passetti", con l’intento dichiarato di suddividere in tre navate l’aula, che il Ferraroni aveva, invece, immaginato un unico spazio proiettato verso l’ombra profonda del coro.
Qualche anno più tardi (1842), fu ancora il Giberti a porre rimedio ai gravi segnali di cedimento del coronamento del campanile, eretto nel 1740 e già restaurato una prima volta nel 1810. Scartata l’ipotesi di sostituire l'antica guglia con una costosissima cupola di rame, la Comunità ed il parroco decisero per una soluzione meno dispendiosa accettando i suggerimenti di Cesare Costa (1802/1876), il cui progetto prevedeva il consolidamento dell’intera torre campanaria ed un coronamento a forma di piramide ottagonale.
Ai quattro lati della base della piramide furono collocate nel 1842 le allegorie delle quattro stagioni, in marmo di Carrara, che avevano adornato il Palazzo di Corso Canalgrande a Modena del Conte Mario Valdrighi, donate in quell’occasione dal nobile modenese alla chiesa ed all’intera cittadinanza.

Un importante acquisto di Giambattista Giberti

Nel 1855, in qualità di Presidente della Congregazione di San Filippo Neri, il parroco Giberti acquistò da Severino Roncatti un quadro giovanile di Giuseppe Zattera (1825 - 1891) raffigurante San Filippo Neri che istruisce i fanciulli, firmato e datato 1847.
La tela, che riflette la temperie culturale dell’epoca, allora dominata da Francesco IV, venne dipinta dal pittore di Legnago durante la sua permanenza presso l'Istituto San Filippo Neri di Modena come "dozzinante". Poiché si tratta della prima testimonianza pervenutaci degli anni di formazione dello Zattera, avvenuta sotto la guida di Adeodato Malatesta, l’opera costituisce un raro documento per lo studio di uno dei protagonisti del rinnovamento dell’arte figurativa modenese nella seconda metà dell’Ottocento.

La Parrocchiale nel XX secolo e le recenti acquisizioni

Dopo gli interventi voluti dal Giberti, la parrocchiale non fu soggetta ad altre modifiche strutturali importanti fin quando, nel 1945, non le toccò di subire l’oltraggio della guerra e delle nefaste incursioni aeree.
Con la totale distruzione del Coro e del dipinto del Cioni, di parte della sacrestia, dell’organo e degli stalli lignei, il danneggiamento dei cornicioni e delle volte e l’ irrimediabile perdita di alcuni oggetti d'arte sacra, la bella Chiesa del Ferraroni, che nei piani militari alleati era stata individuata come un obiettivo di primaria importanza strategica, fu ridotta in un cumulo di macerie.
Si provvide, allora, da parte della Comunità di Formigine e degli Organi Statali preposti alla Tutela, alla paziente ricostruzione del Tempio cittadino; e lo si fece nel rispetto delle preesistenze architettoniche, ma dovendo rinunciare, per gioco forza, al ripristino della collocazione settecentesca degli altari e del loro arredo.
In luogo dell’altare dedicato alla Madonna del Rosario venne collocato il quadro firmato e datato da Carlo Rizzi (1685/1759) raffigurante San Francesco che riceve le stimmate (1737); la tela dello Spisanelli, con l’ancona lignea datata 1654 ma mutila del paliotto, venne posta nella cappella centrale sinistra accanto alla cappella del SS.Sacramento, ove si venerava la grande scultura del Cristo in Croce che, oggi, sovrasta l’altar maggiore. Sul lato opposto, in luogo del primo altare dedicato a S.Rocco, vi è attualmente esposta una copia della Natività dello Scarsellino risalente al XVII secolo, il cui originale si ammira tuttora nelle sale della Galleria Estense di Modena.

Gaetano Ghiraldi
Storico dell’arte della Soprintendenza per il PSAE di Modena e Reggio Emilia
Modena, 23/01/2007