Chiesa della Madonna del Ponte di Formigine
L’attuale Chiesa della Madonna del Ponte prende il
nome dal luogo in cui sorgeva un piccolo Oratorio dedicato alla Vergine (1510
ca) accanto alla porta di accesso al paese detta Porta del Borgo le cui fondamenta,
costituite da agglomerati di ciottoli di fiume, sono tuttora visibili.
Con la costituzione della Compagnia di S. Pietro Martire (1571) e l’attivo
impegno dei confratelli nella raccolta di fondi per la ristrutturazione del
tempietto, alla quale non fece mancare il suo contributo la Comunità
di Formigine, la chiesetta accolse sull’altare maggiore la venerata
immagine votiva della Vergine col Bambino, staccata dal muraglione adiacente
il casotto dei gabellieri nei pressi del Ponte della Porta, assumendo il titolo
di Oratorio della Madonna delle Grazie.
Con l’adesione dei maggiorenti della città, la Confraternita
accrebbe notevolmente sia le proprie disponibilità economiche che il
suo prestigio fin quando avvertì l’esigenza di trasformare quel
modesto Oratorio in Chiesa. Nel 1617, su sollecitazione del Sodalizio, l’architetto
ducale Pasio Pasi da Carpi († 1627) presentò, quindi, una proposta
di ampliamento dell' edificio sottoponendo al beneplacito di Cesare d'Este
una relazione corredata di un progetto esecutivo.
Nel 1636, anno in cui venne consacrato il nuovo altare maggiore, la chiesa
possedeva almeno due cappelle laterali delle quali, quella dedicata a San
Pietro, si arricchì dal 1638 di una tela poi passata al Conventino
nel 1770.
Intorno alla metà del secolo i lavori di ampliamento ricevettero nuovo
impulso grazie all’incessante attività di don Pietro Cozza, infaticabile
organizzatore e generoso mecenate, che nel 1643 volle donare al tempio la
bella acquasantiera in marmo di Verona tuttora esistente.
Tra il 1654 ed il 1665 sotto la guida dei capomastri Francesco Giberti, Giovan
Battista Panni ( † 1660) e di Giovanni Andrea Taffelli di Sirmione,
tutti e tre già presenti nel cantiere del Palazzo Ducale di Sassuolo,
la Chiesa acquistò l’attuale fisionomia, il cui progetto definitivo
è da ascriversi, verosimilmente, al celebre architetto ducale Gaspare
Vigarani, al quale risulta indirizzato un modesto pagamento per aver fatto
"il disegno della fabrica".
Ottemperando alle disposizioni testamentarie di Don Pietro Cozza (†
1649), nel 1668 la Confraternita, guidata da Giovanni Antonio Piacentini (†
1680), sostituì il vecchio Altar Maggiore col nuovo altare realizzato
dal comasco Tomaso Loraghi (1607/1670), a lungo attivo nei cantieri di Fiorano,
Sassuolo e Modena. Questi aveva già lavorato nel 1654 all’urna
marmorea che avrebbe accolto i resti del protomartire Curio donati a don Pietro
Cozza dal Cardinale Marzio Ginetti nel 1647.
Intanto,mentre fervevano i lavori era giunta a Formigine ( 1655 ) la statua
in bronzo dell' Assunta che il Cozza aveva commissionato dieci anni prima
agli scultori e fonditori Morenghi di Reggio Emilia. Innalzata sulla facciata
della chiesa la scultura, poi gravemente danneggiata durante gli eventi bellici
del 1945, venne restaurata nel 1978 e ricollocata nella sua nicchia originaria.
Intorno alla metà del XVII secolo, l’abbellimento dell’aula
si avvalse per la decorazione in stucco ( 1661 ) dell’opera di Carlo
Antonio Garbi (Garvi o Gravi) e della bottega di Giovanni Lazzoni per le sculture
in marmo poste a coronamento del timpano dell’altar maggiore,.
In quegli stessi anni i Confratelli, che si erano impegnati ad innalzare un
monumentale baldacchino ligneo per accogliere la miracolosa immagine della
Madonna del Ponte, decisero di rivolgersi al servita bolognese Carlo Guastuzzi
la cui fama di eccellente intagliatore aveva raggiunto anche le austere sale
di Palazzo Ducale. Il baldacchino del Guastuzzi, subito ribattezzato Casamentino,
venne in seguito rivestito di una lamina d'oro da Andrea Melotti e da Giacomo
Ferri (1689) ed, infine, coronato dal fastigio ornamentale raffigurante il
Redentore intagliato da Matteo Coppini.
L’incarico di adornare il soffitto del Casamentino venne affidato nel
1690 al pittore torinese Alessandro Mari (1650/1707) che trasfuse nelle tre
piccole tele la lezione appresa dalle opere del Correggio, come si vede nella
sua scorciatissima Assunta ispirata agli affreschi della cupola del Duomo
di Parma e nel Riposo in Egitto ispirato alla “Zingarella” dell’Allegri,
a quel tempo conservata nelle collezioni ducali dei Farnese.
Con la scomparsa del Piacentini († 1680), la Confraternita aveva ereditato
un ingente patrimonio che per volontà testamentaria del Priore avrebbe
dovuto essere investito in opere di pietà e nell’erezione di
un altare dedicato a S. Giovanni Battista ed al protomartire Curio.
L’incarico di eseguire l'altare marmoreo venne affidato dai Confratelli
a Giovan Martino Baini mentre la pala raffigurante i due santi venne commissionata
al carpigiano Bonaventura Lamberti (1652/1721).
Quest’ultimo, nel 1680, aveva appena maturato un tirocinio quadriennale
presso la bottega bolognese di Carlo Cignani, trasfondendo nella patinata
eleganza del San Curio la lezione del maestro bolognese.
Per l’altare donato dalla Confraternita a Don Giacomo Ferraresi nel
1691 si decise, invece, di incaricare il comasco Giuseppe Romani (1654 ca.
- 1727) dell’esecuzione della la tela raffigurante il tema della Visitazione
(1692).
Svolta secondo i ritmi pacati della narrazione didascalica, la scena risente
della formazione lombarda del pittore sia per l’essenziale costruzione
dell’impaginato, scalato in profondità su tre piani distinti,
e sia per quella vena di naturalismo inamidato di sapore arcaico ricorrente
nella monotona tipologia di vecchio barbuto dal profilo sfuggente, quasi sempre
presente nelle opere del comasco.
Inquadrata in una cornice classicheggiante di finto marmo la tela della "Visitazione"
sovrasta un paliotto di scagliola di gusto baroccheggiante ornato secondo
il raffinato gusto di Marco Mazelli ben esemplato in uno dei suoi lavori più
prestigiosi eseguito nel 1701 per la Madonna del Rosario di Fontanellato,
ove l'esuberante rigoglio di elementi naturalistici appare suddiviso in tre
riquadri.
Tra il 1699 ed il 1700, l'area del presbiterio si sarebbe finalmente fregiata
della bella balaustra in marmo di Verona lavorato a Reggio Emilia dal bresciano
Giovanni Antonio Ognia, mentre nel 1738 un nuovo paliotto ricco di marmi policromi
avrebbe ornato l'altar maggiore realizzato dalla bottega veneziana di Sante
Trogion.
Ma l'altare a cui maggiormente era rivolta la devozione della Confraternita,
cioè quello dedicato a San Pietro Martire, protettore della Compagnia,
sarebbe stato completato, soltanto nel 1763, quando Francesco Vellani consegnò
la tela raffigurante il Supplizio di San Pietro Martire, ivi collocata in
sostituzione della copia di una pala d'analogo soggetto eseguita da Alessandro
Mari nel 1684.
Inquadrata in una fastosa cornice in stucco modellata da Giovan Battista Massari
(1702/1768) e Giovan Battista Padovani, la tela del Vellani fu innalzata sull’altare
dal bel paliotto di commesso marmoreo eseguito nel 1738 dal lapicida Sante
Trogion.
Tutt’oggi la Chiesa possiede il ricchissimo archivio e l'antico stemma
della Confraternita con l’immagine di San Pietro Martire riprodotta
in una matrice xilografica conservata presso la Galleria Estense di Modena.
Quando nel 1807 vennero soppresse le Confraternite, ad eccezione di quella
del SS.Sacramento che avrebbe dovuto sussumere tutte le altre, la Compagnia
di San Pietro di Formigine si oppose fermamente al decreto governativo sottoponendo
le proprie ragioni al Ministero del Culto che si espresse sfavorevolmente
nei confronti del Sodalizio formiginese con decreto del 13 agosto 1808 a firma
del Prefetto Cavriani.
Gaetano Ghiraldi
Storico dell’arte della Soprintendenza per il PSAE di Modena e Reggio
Emilia
Modena, 23/01/2007