Professione
di Fede
con i Vescovi della
Conferenza Episcopale Italiana
Basilica Vaticana
Il Santo Padre
Francesco dopo l’indirizzo di saluto del Cardiale Bagnasco, ha
pronunciato le seguenti parole:
Ringrazio
Vostra Eminenza per questo saluto e complimenti anche per il lavoro di
questa Assemblea. Grazie tante a tutti voi. Io sono sicuro che il
lavoro è stato forte perché voi avete tanti compiti. Primo: la Chiesa
in Italia – tutti - il dialogo con le istituzioni culturali, sociali,
politiche, che è un compito vostro e non è facile. Anche il lavoro di
fare forte le Conferenze regionali, perché siano la voce di tutte le
regioni, tanto diverse; e questo è bello. Anche il lavoro, io so che
c’è una Commissione per ridurre un po’ il numero delle diocesi tanto
pesanti. Non è facile, ma c’è una Commissione per questo. Andate avanti
con fratellanza, la Conferenza episcopale vada avanti con questo
dialogo, come ho detto, con le istituzioni culturali, sociali,
politiche. E’ cosa vostra. Avanti!
Omelia
del Santo Padre Francesco
Cari Fratelli nell'Episcopato,
Le
Letture bibliche che abbiamo sentito ci fanno riflettere. A me hanno
fatto riflettere tanto. Ho fatto come una meditazione per noi Vescovi,
prima per me, Vescovo come voi, e la condivido con voi.
è
significativo - e ne sono particolarmente contento - che il nostro
primo incontro avvenga proprio qui, sul luogo che custodisce non solo
la tomba di Pietro, ma la memoria viva della sua testimonianza di fede,
del suo servizio alla verità, del suo donarsi fino al martirio per il
Vangelo e per la Chiesa.
Questa
sera questo altare della Confessione diventa così il nostro lago di
Tiberiade, sulle cui rive riascoltiamo lo stupendo dialogo tra Gesù e
Pietro, con l’interrogativo indirizzato all’Apostolo, ma che deve
risuonare anche nel nostro cuore di Vescovi.
«Mi
ami tu?»; «Mi sei amico?» (cfr Gv 21,15ss).
La
domanda è rivolta a un uomo che, nonostante solenni dichiarazioni, si
era lasciato prendere dalla paura e aveva rinnegato.
«Mi
ami tu?»; «Mi sei amico?».
La
domanda è rivolta a me e a ciascuno di noi, a tutti noi: se evitiamo di
rispondere in maniera troppo affrettata e superficiale, essa ci spinge
a guardarci dentro, a rientrare in noi stessi.
«Mi
ami tu?»; «Mi sei amico?».
Colui
che scruta i cuori (cfr Rm 8,27) si fa mendicante d'amore e ci
interroga sull'unica questione veramente essenziale, premessa e
condizione per pascere le sue pecore, i suoi agnelli, la sua Chiesa.
Ogni ministero si fonda su questa intimità con il Signore; vivere di
Lui è la misura del nostro servizio ecclesiale, che si esprime nella
disponibilità all'obbedienza, all'abbassamento, come abbiamo sentito
nella Lettera ai Flippesi, e alla donazione totale (cfr 2,6-11).
Del
resto, la conseguenza dell'amare il Signore è dare tutto - proprio
tutto, fino alla stessa vita - per Lui: questo è ciò che deve
distinguere il nostro ministero pastorale; è la cartina di tornasole
che dice con quale profondità abbiamo abbracciato il dono ricevuto
rispondendo alla chiamata di Gesù e quanto ci siamo legati alle persone
e alle comunità che ci sono state affidate. Non siamo espressione di
una struttura o di una necessità organizzativa: anche con il servizio
della nostra autorità siamo chiamati a essere segno della presenza e
dell'azione del Signore risorto, a edificare, quindi, la comunità nella
carità fraterna.
Non
che questo sia scontato: anche l'amore più grande, infatti, quando non
è continuamente alimentato, si affievolisce e si spegne. Non per nulla
l'Apostolo Paolo ammonisce: «Vegliate su voi stessi e su tutto il
gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti come
custodi per essere pastori della Chiesa di Dio, che si è acquistata con
il sangue del proprio Figlio» (At 20,28).
La
mancata vigilanza - lo sappiamo - rende tiepido il Pastore; lo fa
distratto, dimentico e persino insofferente; lo seduce con la
prospettiva della carriera, la lusinga del denaro e i compromessi con
lo spirito del mondo; lo impigrisce, trasformandolo in un funzionario,
un chierico di stato preoccupato più di sé, dell'organizzazione e delle
strutture, che del vero bene del Popolo di Dio. Si corre il rischio,
allora, come l’Apostolo Pietro, di rinnegare il Signore, anche se
formalmente ci si presenta e si parla in suo nome; si offusca la
santità della Madre Chiesa gerarchica, rendendola meno feconda.
Chi siamo, Fratelli, davanti a Dio? Quali
sono le nostre prove? Ne abbiamo tante; ognuno di noi sa le sue. Che
cosa ci sta dicendo Dio attraverso di esse? Su che cosa ci stiamo
appoggiando per superarle?
Come
per Pietro, la domanda insistente e accorata di Gesù può lasciarci
addolorati e maggiormente consapevoli della debolezza della nostra
libertà, insidiata com'è da mille condizionamenti interni ed esterni,
che spesso suscitano smarrimento, frustrazione, persino incredulità.
Non
sono certamente questi i sentimenti e gli atteggiamenti che il Signore
intende suscitare; piuttosto, di essi approfitta il Nemico, il Diavolo,
per isolare nell'amarezza, nella lamentela e nello scoraggiamento.
Gesù,
buon Pastore, non umilia né abbandona al rimorso: in Lui parla la
tenerezza del Padre, che consola e rilancia; fa passare dalla
disgregazione della vergogna – perché davvero la vergogna ci disgrega -
al tessuto della fiducia; ridona coraggio, riaffida responsabilità,
consegna alla missione.
Pietro,
che purificato al fuoco del perdono può dire umilmente «Signore, tu
conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17). Sono sicuro che
tutti noi possiamo dirlo di cuore. E Pietro purificato, nella sua prima
Lettera ci esorta a pascere «il gregge di Dio [...], sorvegliandolo non
perché costretti ma volentieri [...], non per vergognoso interesse, ma
con animo generoso, non come padroni delle persone a noi affidate, ma
facendoci modelli del gregge» (1Pt 5,2-3).
Sì,
essere Pastori significa credere ogni giorno nella grazia e nella forza
che ci viene dal Signore, nonostante la nostra debolezza, e assumere
fino in fondo la responsabilità di camminare innanzi al gregge, sciolti
da pesi che intralciano la sana celerità apostolica, e senza
tentennamenti nella guida, per rendere riconoscibile la nostra voce sia
da quanti hanno abbracciato la fede, sia da coloro che ancora «non sono
di questo ovile» (Gv 10,16): siamo chiamati a far nostro il sogno di
Dio, la cui casa non conosce esclusione di persone o di popoli, come
annunciava profeticamente Isaia nella Prima Lettura (cfr Is 2,2-5).
Per
questo, essere Pastori vuol dire anche disporsi a camminare in mezzo e
dietro al gregge: capaci di ascoltare il silenzioso racconto di chi
soffre e di sostenere il passo di chi teme di non farcela; attenti a
rialzare, a rassicurare e a infondere speranza. Dalla condivisione con
gli umili la nostra fede esce sempre rafforzata: mettiamo da parte,
quindi, ogni forma di supponenza, per chinarci su quanti il Signore ha
affidato alla nostra sollecitudine. Fra questi, un posto particolare,
ben particolare, riserviamolo ai nostri sacerdoti: soprattutto per
loro, il nostro cuore, la nostra mano e la nostra porta restino aperte
in ogni circostanza. Loro sono i primi fedeli che abbiamo noi Vescovi:
i nostri sacerdoti. Amiamoli! Amiamoli di cuore! sono i nostri figli e
i nostri fratelli!
Cari
fratelli, la professione di fede che ora rinnoviamo insieme non è un
atto formale, ma è rinnovare la nostra risposta al “Seguimi” con cui si
conclude il Vangelo di Giovanni (21,19): porta a dispiegare la propria
vita secondo il progetto di Dio, impegnando tutto di sé per il Signore
Gesù. Da qui sgorga quel discernimento che conosce e si fa carico dei
pensieri, delle attese e delle necessità degli uomini del nostro tempo.
Con
questo spirito, ringrazio di cuore ciascuno di voi per il vostro
servizio, per il vostro amore alla Chiesa.
E
la Madre è qui! Vi pongo, e anche io mi pongo, sotto il manto di Maria,
Nostra Signora.
Madre
del silenzio, che custodisce il mistero di Dio,
liberaci dall'idolatria del presente, a cui si condanna chi dimentica.
Purifica gli occhi dei Pastori con il collirio della memoria:
torneremo alla freschezza delle origini, per una Chiesa orante e
penitente.
Madre
della bellezza, che fiorisce dalla fedeltà al lavoro quotidiano,
destaci dal torpore della pigrizia, della meschinità e del disfattismo.
Rivesti i Pastori di quella compassione che unifica e integra:
scopriremo la gioia di una Chiesa serva, umile e fraterna.
Madre
della tenerezza, che avvolge di pazienza e di misericordia,
aiutaci a bruciare tristezze, impazienze e rigidità di chi non conosce
appartenenza.
Intercedi presso tuo Figlio perché siano agili le nostre mani, i nostri
piedi e i nostri cuori:
edificheremo la Chiesa con la verità nella carità.
Madre, saremo il Popolo di Dio, pellegrinante verso il Regno. Amen.
La fonte letteraria è il sito internet
della Santa Sede,
accessibile a tutti al seguente indirizzo:
http://www.vatican.va/phome_it.htm
La pagina in oggetto è anch'essa
accessibile a tutti.
Il suo indirizzo diretto tuttavia è il seguente:
http://www.vatican.va/holy_father/francesco/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130523_omelia-professio-fidei-cei_it.html